Invece, ovunque non si sente altro che espressione di sfiducia nelle istituzioni, mancanza di spinta alla partecipazione attiva alla vita politica e sociale del Paese. La causa di questa “sfiducia” può individuarsi certamente in un divario creato nel corso dell’ultimo ventennio dalla politica stessa nei confronti del cittadino. Manca il rapporto diretto tra il cittadino e chi arriva poi a decidere le sorti del Paese. Divario cui sembra non volersi porre rimedio – “Sicuramente sì – dice l’avv. Falcone – purtroppo noi non siamo riusciti a scardinare, in Italia, nell’ultimo ventennio, il dramma del voto di scambio che anche con le liste bloccate ha continuato ad essere radicato nella società. Non siamo riusciti a produrre quel passaggio determinante dalla “democrazia meramente rappresentativa” alla “democrazia partecipativa”.
Tra l’altro c’è una strategia di fondo che sembra voler far passare un messaggio inaccettabile; che la democrazia sia troppo difficile da gestire per esser effettivamente realizzata. C’è stato e c’è un atteggiamento un po’ bipartisan che ha mirato ad affermare, nel corso degli ultimi anni, prima l’esigenza della governabilità, sul diritto alla rappresentanza, poi il governo della maggioranza relativa, ovvero della minoranza. Come se non fosse possibile, come dice la nostra Carta Costituzionale, governare il Paese tramite le assemblee parlamentari e le maggioranze reali lì rappresentate, per decidere insieme con il maggiore consenso possibile, soprattutto sulle riforme più importanti, che sia la riforma della scuola, che sia la riforma elettorale, che siano le riforme istituzionali.
E’ vero l’esatto contrario. Perché sulle riforme da cui dipende il nostro assetto democratico e la nostra cittadinanza sociale non può decidere una minoranza diventata maggioranza in forza di un premio dichiarato incostituzionale dalla Consulta, sull’attuazione di principi e diritti cruciali per il nostro ordinamento e la nostra Costituzione devono esser d’accordo (almeno) la maggioranza reale dei cittadini italiani. Altrimenti la anche la governabilità formale e sostanziale che viene invocata a giustificazione di riforme fatte male e di fretta, diventa un’illusione: al prossimo Governo, si dovrà ripartire daccapo”.
Temi caldi, dunque, che fanno parte, come già sottolineato, dell’incalzante acceso dibattito in atto da qualche tempo in Italia, accentuato ulteriormente dalla mancanza di dialogo e discussione dentro lo stesso Parlamento, inteso come “ voce degli italiani”. Allora la domanda che ci poniamo e rivolgiamo anche all’avvocato Falcone, esperta anche di legislazione elettorale (recentemente è stata audita presso la Commissione Affari Costituzionali), è:“stiamo subendo decisioni assunte in un Parlamento esautorato?” – “Politicamente si; la Corte Costituzionale con la sentenza n. 1 del 2014 aveva dichiarato l’incostituzionalità del c.d. “Porcellum”, ovvero della legge elettorale che ha eletto questo Parlamento, facendo salva, però la legittimità formare dell’Assemblea. Il problema, però, non è quello della legittimità formale del Parlamento insediato, ma, quello della sua legittimazione sostanziale e politica sulle riforme. Un parlamento eletto con una legge dichiarata incostituzionale che si azzarda a fare, con una minoranza gonfiata in maggioranza grazie a un premio dichiarato incostituzionale, delle riforme che incidono direttamente sulla forma di governo, e sulle garanzie democratiche sancite dalla Carta costituzionale, suscita sconcerto e preoccupazione. Riforme sulle quali, spesso, il Paese stesso manifesta la sua forte perplessità nelle piazze, nelle scuole, in tutti gli organismi intermedi”.
Perplessità, che sembra non raggiungere il Governo affinché possa rivedere, o in qualche modo, provare a trovare un punto d’incontro con altre parti politiche. “Sì – prosegue – e la cosa che io trovo, drammatica è proprio questa. Alla richiesta di maggior partecipazione avanzata dai cittadini i Governi di destra e sinistra hanno risposto con una centralizzazione delle decisioni che nega il dialogo o ne fa un passaggio meramente formale che non tiene conto delle ragioni dei destinatari delle riforme, quelli cioè che i problemi del lavoro, della scuola, dell’università, li vivono ogni giorno sulla propria pelle. È una modalità di intervento che nega i “principi democratico e pluralista” su cui si fonda la nostra Costituzione, ma è contrario a qualsiasi reale democrazia. Non è possibile decidere senza dialogare, spacciando la “velocità” delle decisioni con la loro efficienza e demolendo lo Stato sociale di diritto e la dignità di lavoratori, insegnanti, studenti”.
Si può dunque riassumere tutto questo dicendo che in Italia da qualche tempo è assente la qualità politica che ha contraddistinto grandi politici e grandi statisti del passato. In Sardegna tutti ricordiamo Antonio Gramsci, un filoso, un politico che è riuscito fare dello studio, comunque anche da autodidatta, una ragione di vita, uno strumento di emancipazione e di libertà.
– “Sì, esatto. Uno strumento di emancipazione e di libertà politica. E’ sicuramente patrimonio di quella parte politica, ma era patrimonio davvero di tutte le forze politiche che si riconoscevano nella Costituzione che è eminentemente esempio di questo metodo del dialogo, dell’incontro e della sintesi di diverse idee e ideologie sul massimo comune denominatore che è la democrazia declinata nei suoi principi fondamentali. Noi, in Italia, dobbiamo rifondare il “metodo democratico”, nelle assemblee, nei sindacati e nei partiti, dove ancora persiste questa immensa lacuna della mancata attuazione del metodo democratico di cui all’art. 49 della Costituzione, che impedisce nei partiti e nei movimenti politici l’incontro tra i cittadini e le rappresentanze, i diritti degli iscritti e una loro effettiva partecipazione alle decisioni programmatiche ed elettorali.
Anche questa riforma elettorale non colma questa lacuna della partecipazione dei cittadini alla scelta delle candidature. I sistemi elettorali e i metodi dell’elezione possono esser differenti, ma fin quando non saranno i cittadini, gli iscritti ai partiti, i simpatizzanti a poter partecipare in maniera certa, con le garanzie della legge, alla scelta delle candidature, ci sarà sempre questo scollamento tra i rappresentanti e i rappresentati.
Questo fa capire proprio come le leggi elettorali siano viste come delle leggi formali e molto distanti dai cittadini piuttosto che fondamentali per l’esercizio sostanziale della sovranità popolare; in altre parole sono determinanti per garantire ai cittadini l’accesso e il controllo sulle istituzioni e la possibilità di decidere sulla soluzione dei problemi.
Questo è un punto che bisogna assolutamente monitorare e su cui io mi auguro, si potranno sviluppare delle azioni di partecipazione civile”. I temi caldi affrontati nel corso del convegno, hanno posto in esser un dibattito utile a comprendere anche il mondo della scuola e se ne prende coscienza dalle parole dalla professoressa Monica Sitzia, promotrice di questo progetto – “ Io sono una insegnante precaria e, a proposito della scuola e del suo ruolo, sono specializzata nel sostegno. Per me è molto importante veicolare questo messaggio: la scuola deve formare le persone e, nell’attuazione di questo obiettivo, occorre ricordare che siamo tutti diversi e tutti meritiamo le stesse possibilità e le stesse opportunità. La scuola deve esser proprio il terreno dove si sperimenta la solidarietà, dove chi più sa, chi ha le competenze deve metterle a disposizione dell’altro perché solo insieme si può costruire davvero il futuro. Dobbiamo crederci soprattutto noi insegnanti, al di là di questa “grande riforma” – solo da parte dei governanti – dobbiamo esser noi i primi a proporre la riforma della scuola perché siamo i primi fruitori e conoscitori della nostra scuola. Un appello, dunque, a tutte le forze nobili della scuola perché insieme facciamo veramente una “bella scuola”. La Professoressa conclude il suo intervento “Esistono ancora persone che ci credono veramente perché questo è il significato più importante, mettere a disposizione le proprie competenze senza voler primeggiare perché ‘tutti siamo noi'”.
Ecco, l’esempio che possiamo dare cominciando da persone come Don Ennio Stamile, Anna Falcone, Salvatore Amodìo, Conni Aieta che ho voluto fortemente qui in Sardegna. Ieri c’è stato un incontro al liceo Motzo, dove hanno riproposto queste testimonianze sulla legalità, sul significato di esser parte attiva nella storia di ciascuno.
Una ragazza alla fine ha posto una domanda bellissima: – “Ma chi ve l’ha fatto fare a venire qui dalla Calabria per dirci queste cose sulla legalità?”. Questa ragazza alla fine la risposta probabilmente se l’è data da sola: “Avete bisogno di darci qualcosa e vi ringraziamo per darci questo esempio, anche solo di disponibilità”.
Parliamo di questo, dare gratuitamente senza aspettarsi qualcosa in cambio. Soprattutto insegnare con l’esempio e la coerenza”.
Antonella Soddu