Sebastiano Bonfiglio nacque il 23 settembre del 1879 a San Marco Valderice. Per le necessità della famiglia e secondo le abitudini del tempo, ancora ragazzo venne avviato a lavorare in una bottega di artigiano. Presto cominciò a guardare con crescente interesse al socialismo e alle organizzazioni che lo rappresentavano. Erano gli anni in cui anche nel trapanese si costituivano i Fasci dei lavoratori di campagna e di città con un programma che superava il vecchio mutualismo, ponendo a contadini, operai e intellettuali progressisti obiettivi molto più avanzati, tra cui la lotta di classe per la costruzione di una società libera dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Le letture, l’osservazione della realtà economica e politica del trapanese, la frequentazione dei lavoratori lo aiutarono a maturare, ponendo le condizioni perché egli divenisse punto di riferimento per quanti aspiravano a una società profondamente rinnovata.
Pur essendo ancora molto giovane, si trovò in primo piano a livello provinciale, e lavorò indefessamente alla riorganizzazione del movimento dei lavoratori, ancora sconvolto dalla repressione. Nel 1901 guidò i lavoratori che scioperavano per ottenere il miglioramento dei patti agrari, ancora gravemente spoliatori, costringendo i grandi proprietari terrieri ad accettare le condizioni loro imposte dalle organizzazioni di categoria.
Il successo dell’azione sindacale accrebbe notevolmente la sua autorità nel trapanese, ponendolo tra i maggiori dirigenti assieme a Giacomo Montalto, Mariano Costa, Sebastiano Cammareri Scurti, Pietro Grammatico. Nel 1902 venne eletto segretario della federazione provinciale socialista, ma due anni dopo si trasferì a Milano, dove trovò lavoro in una fabbrica di mobili. Fu una esperienza estremamente fruttuosa: nel capoluogo lombardo potè infatti conoscere e praticare alcuni dei massimi dirigenti del socialismo, tra i quali Filippo Turati e Costantino Lazzari, ma anche conoscere una realtà assolutamente diversa dalla isolana, che lo fece riflettere sulla struttura del partito e sulla opportunità di un suo rinnovamento per meglio rispondere alle esigenze del tempo.
A Milano rimase per due anni. Successivamente, accogliendo l’invito di suoi parenti che da qualche tempo vivevano negli USA, decise di emigrare in quel lontano paese, dove al lavoro quotidiano aggiunse l’impegno politico, organizzando la sezione socialista e una cooperativa di consumo che giovò molto alle famiglie degli emigranti abbattendo i costi dei generi più largamente consumati. Assunse anche la direzione de “ la Voce dei socialisti”, che veicolava idee, critiche, proposte in relazione alla vita, non certo facile, dei tanti emigranti che nelle Americhe avevano trovato lavoro e libertà, ma in una società fortemente gravata dalle regole del capitalismo dovevano difendersi dallo sfruttamento. Nel 1913 Bonfiglio rientrò nella sua terra. A livello nazionale il momento era complesso: venendo dopo Crispi e Pelloux, sostenitori dell’autoritarismo e strumenti del recupero conservatore, Giolitti aveva favorito il ristabilimento di condizioni di relativa libertà, aveva concesso il suffragio universale maschile, ma aveva promosso l’occupazione della Libia; il PSI si era rotto con l’espulsione dei “bissolatiani”, favorevoli a una più vasta collaborazione con radicali, repubblicani, liberaldemocratici. Bonfiglio condannò la posizione degli espulsi, che in Sicilia finivano addirittura per “andare oltre”, e con Nicola Barbato partecipò alla difesa della organizzazione socialista. Successivamente capeggiò uno sciopero di contadini che nell’isola ebbe un discreto successo, ma venne arrestato e condannato a cinque mesi di carcere. Tornato in libertà, si trovò di fronte alle nubi di guerra che gravavano sull’Europa e al forte contrasto tra neutralisti e interventisti che coinvolgeva anche diversi socialisti.
Egli si schierò subito contro la guerra in generale e contro l’intervento dell’Italia in particolare. Richiamato alle armi, venne assegnato ai reparti della Sanità e inviato per le sue posizioni politiche in Libia, a Cirene, dove meritò la simpatia della popolazione aprendo una scuola per i ragazzi. Con la fine della guerra rientrò nel trapanese, dove riprese l’attività politica e sindacale ponendosi nuovamente alla testa delle organizzazioni che facevano capo al PSI e riorganizzando Camere del lavoro, Leghe contadine e Cooperative.
Nello scontro tra comunisti, massimalisti e riformisti che prese ad agitare il movimento dei lavoratori, egli si collocò tra i massimalisti che facevano capo a Serrati, e nel gennaio del ’21 non approvò la rottura operata dai comunisti su sollecitazione di Mosca. I congressisti lo elessero allora membro della Direzione nazionale del PSI in rappresentanza dei socialisti siciliani.
Nel 1920 fu alla testa dei lavoratori nelle due grandi battaglie che caratterizzarono allora la lotta socialista: quella per l’occupazione delle terre incolte, che nel trapanese ebbe momenti particolarmente forti nell’agro ericino, e quella per la conquista di molti comuni, risultate largamente vittoriose. Il 3 ottobre 1920 anche Monte San Giuliano passò ai socialisti e Bonfiglio venne eletto sindaco in una amministrazione che avviò una serie di opere di grande interesse sociale, tra cui strade e scuole. Si trattava di fatti che non potevano essere accettati dai grossi proprietari terrieri, da gran tempo adusi allo strapotere economico e politico. Essi provvidero perciò a colpire il dirigente, considerato responsabile di quello che appariva un rivolgimento del vecchio ordine, e disposero perché la mafia al loro servizio lo colpisse senza pietà.
Nella tarda serata del 10 giugno 1922, mentre Sebastiano Bonfiglio rientrava a casa dopo avere partecipato a una riunione della Giunta municipale, dei sicari appostati dietro un muretto lo colpirono a morte. Una nuova vittima si aggiungeva così ai tanti organizzatori e propagandisti che la mafia e gli “squadristi” nazional-fascisti avevano colpito a Salemi, Castelvetrano, Paceco, ecc. e in diverse altre aree isolane.
Giuseppe Miccichè