
Umberto Calosso
Quando morì, il 10 agosto del 1959, Pietro Nenni, con la capacità di penetrazione psicologica, di giudizio e di sintesi che lo distingueva, lo definì nel suo Diario “spirito acuto e bizzarro, scrittore elegante, uomo di larga cultura umanistica” e ne ricordò la partecipazione con “Giustizia e Libertà” e poi col Partito Socialista alla lotta antifascista e il contributo alla ricostruzione democratica. Tutto questo era stato effettivamente Umberto Calosso.
Nato a Belviglio d’Asti il 23 settembre del 1895, compì i suoi primi studi a Torino, allievo del Convitto nazionale, dove rivelò una intelligenza vivissima e penetrante. All’inizio della Grande Guerra venne riconosciuto non idoneo al servizio militare, ma egli, per omaggio alla memoria di Mario Tancredi, un suo carissimo amico caduto in combattimento, decise di arruolarsi volontario e vestì il grigioverde compiendo il proprio dovere.
Nel ’18, tornato nel capoluogo piemontese, prese contatto con la vita politica aderendo al Partito Socialista, nel quale si avvicinò al gruppo di giovani che attorno a Gramsci, Pastore, e altri discutevano con vivacità e acume la problematica socialista. Nel contempo riprese gli studi e si laureò in Storia e Filosofia col massimo dei voti e la lode discutendo con originali argomentazioni una tesi su “L’anarchia di Vittorio Alfieri”.
L’avvento del fascismo lo vide subito su posizione di netto rifiuto assieme a Leonida Repaci, Zino Zini, Palmiro Togliatti, Umberto Terracini e altri. Con lo pseudonimo di Mario Sarmati fu tra i collaboratori de “L’Ordine nuovo”, il settimanale fondato a Torino da Gramsci il 1° maggio del 1919 con l’intento di stimolare il pensiero politico e la cultura interessandoli alla questione sociale, ai soviet, ai consigli di fabbrica e ai vari “istituti della classe operaia” di cui si erano fatti sostenitori i rivoluzionari bolscevichi.
Il 30 ottobre 1922 con Gramsci, Leonetti, Pastore, Viglongo rivelò grande coraggio difendendo il periodico contro una aggressione delle squadracce fasciste. Fu accusato di “detenzione di armi e costituzione di bande armate” e nell’aprile del ’23 subì un processo da cui, non diversamente dagli altri imputati, uscì assolto.
Gli impegni politici e giornalistici non limitavano i suoi interessi letterari: attento dal periodo universitario all’opera del grande scrittore e drammaturgo astigiano, volle riprendere il lavoro compiuto per la tesi di laurea e nel ’24 diede alle stampe “L’anarchia di Vittorio Alfieri”, lavoro nel quale evidenziò uno dei caratteri salienti dell’arte del suo grande conterraneo.
Iniziò poi l’attività di insegnante nell’Istituto tecnico di Alessandria, ma non riuscì a sopportare l’atmosfera sempre più soffocante imposta dalla dittatura e decise di emigrare in Francia, poi in Inghilterra, per passare infine a Malta dove insegnò Letteratura italiana al St. Edward’s College.
Il più preciso definirsi del fascismo come militarista e imperialista lo collocò tra i più irriducibili contro il regime mussoliniano.
Trovandosi in Spagna per un giro di conferenze si impegnò nella lotta armata contro il franchismo militando tra i volontari di “Giustizia e Libertà” e con Mario Angeloni, Carlo Rosselli, Aldo Garosci fu tra i combattenti impegnati nella battaglia di Monte Pelato.
Quando prevalsero i franchisti e si impose la dittatura di Francisco Franco, tornò a Malta e da qui passò ad Alessandria d’Egitto, dove svolse una discreta attività giornalistica esprimendo idee sempre più nettamente socialiste. A Malta pubblicò “Colloqui col Manzoni”, un lavoro che arricchì la già vastissima letteratura sul grande scrittore e gli valse un giudizio positivo di Benedetto Croce.
Iniziatasi la seconda Guerra mondiale si trasferì a Londra, dove pubblicò “The remaking of Italy” e con i fratelli Paolo e Piero Treves, Ruggero Orlando, Arnaldo Momigliano fu tra i più attivi nel promuovere l’Associazione “Libera Italia” e tra i propagandisti di “Radio Londra”, dalla quale rivolse accorati appelli al popolo italiano perché si liberasse del fascismo.
Alla fine del 1944 rientrò in Italia, e fu attivissimo sul piano politico e culturale. Lavorò con Nenni all’Avanti!, scrisse un’ampia e puntuale introduzione a una edizione di “Scritti attuali” di Piero Gobetti, il coraggioso intellettuale antifascista deceduto nel ’26, fu propagandista del partito socialista, consultore nazionale e nel ’46 deputato alla Costituente.
Il giornalismo lo impegnò fortemente : fu infatti direttore del “Sempre Avanti!”, quotidiano socialista che si pubblicò a Torino dal 1945 al 1948 sotto la direzione di Alberto Iacometti. Nel gennaio del ’47 si schierò con gli autonomisti e aderì al PSLI, e con Andreoni, Saragat e Vassalli diresse “ L’Umanità”, organo ufficiale del nuovo partito, e con Bonfantini invece “Mondo Nuovo”, quotidiano torinese del PSLI.
Nel 1948-49, recuperando gli studi della sua giovinezza, volle ripubblicare i “Colloqui col Manzoni” e “L’anarchia di Vittorio Alfieri”, che ancora una volta furono discussi con vivo interesse dalla critica.
Riconfermandosi uomo di forti e larghi interessi oltre che politici anche letterari, culturali, scolastici, approfondì in quel periodo i problemi della scuola, delle donne, dell’obiezione di coscienza, e li portò all’attenzione dei parlamentari ma anche di un pubblico più vasto, pubblicando tra l’altro nel 1953 “La riforma della scuola si può fare”, in cui auspicava l’obbligatorietà e la gratuità della frequenza e riforme nell’insegnamento e più in particolare di quello elementare e medio, che a suo parere abbisognava di interventi urgenti e puntuali.
Sempre acuto e a volte graffiante nei suoi giudizi, alla Camera, sulla stampa e nel partito si distinse come forte polemista sino a essere considerato a volte “un caso”.
Quale libero docente di Letteratura Italiana insegnò nel Magistero dell’Ateneo romano, ma ai primi del ’52 venne fortemente disturbato e impedito dai neofascisti nella realizzazione del suo corso.
Nel partito si mostrò per qualche tempo critico della linea politica allora seguita, ritenendola fortemente appiattita sulla DC, e se ne allontanò sempre più, fin quando nel 1953 rientrò nel PSI. Colpito da paralisi cerebrale e costretto alla immobilità, si spense dopo una lunga e dolorosa agonia.
Un bel volume contenente gli Atti del convegno di studi a lui dedicato nel 1979 ne ricostruì e ripropose il pensiero e l’opera con interessanti relazioni di Garosci, Colarizzi, Sapegno, Vittorelli e altri.
Giuseppe Micciche’